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breve commento alla riforma dell'art.28 L184/1983

03.10.2013 17:54

Breve commento alla riforma dell’art.28 L.184/1983

di Giuliana Recupero Buono

La legge 184/1983 recante norme in materia di adozione ed affidamento, è stata recentemente sottoposta ad un processo di sostanziale revisione ad opera della l. 28 marzo 2001, n. 149. Le modifiche hanno investono pressoché integralmente il testo precedente, rimodellandolo sotto numerosi profili, ma particolare interesse per il presente lavoro rivestono gli interventi sul testo dell’art. 28, ad opera dell’art. 24 l. 149. Ed è da ritenere che tale norma, unitamente a quella (art. 6) che ammette una più elevata differenza di età tra adottante ed adottato, costituisca il nucleo centrale dell’intera legge. L’art. 24, in particolare, disciplina il diritto di accesso dell’adottato alle informazioni concernenti l’identità dei propri genitori biologici e la propria origine. Ebbene, la l. 184 fissava un preciso binario all’ufficiale di stato civile, precisando innanzitutto che ogni attestazione di stato civile riferita all’adottato andasse rilasciata con la sola indicazione del nuovo cognome ed escludendo alcun riferimento alla paternità e maternità del minore; quindi subordinando a preventiva autorizzazione espressa dell’autorità giudiziaria il rilascio di notizie, certificazioni e quant’altro da cui potesse emergere lo status adottivo. La ratio della norma appariva improntata all’esigenza sì di dare una famiglia al minore che ne fosse sprovvisto, ma, evidentemente, anche di dare un figlio a quanti lo desiderassero, favorendo una integrazione quanto più completa ed effettiva possibile tra il minore e la famiglia adottiva; un principio cui facevano da corollari quelle norme relative alla cessazione ed alla recisione di ogni legame dell’adottato con la famiglia di origine, ed escludevano ogni pretesa successoria tra gli stessi. Il limite alla divulgazione dei dati relativi alla origine ed alla famiglia biologica dell’adottato, che solo con autorizzazione espressa del Giudice poteva ottenere delle informazioni, equivaleva, peraltro, ad una sorta di oblio forzoso, che avrebbe dovuto suggellare e garantire l’integrale ed impermeabile inserimento del minore nell’ambito della famiglia adottiva. Né alcuna distinzione la legge poneva tra adottato minore e maggiore di età, nel senso, quanto meno, di consentire l’accesso al maggiorenne o al minore emancipato, il quale ultimo, proprio per il fatto di dar vita, con il matrimonio, ad un nuovo nucleo familiare, poteva anche far supporre un grado di maturità idoneo all’accettazione di siffatte informazioni. Né, ancora, la legge poneva alcun parametro a cui il giudice avrebbe potuto appellarsi al fine di concedere o negare l’autorizzazione richiesta, rimettendo in ultima analisi alla discrezionalità di quest’ultimo - previo, ovviamente, l’intervento del P.M. - ogni decisione al riguardo. La legge 149 interviene in modo consistente su questo fronte, assumendo ad interesse meritevole di tutela, sia pure a date condizioni che ora vedremo, quello di cui è portatore l’adottato a potere assumere informazioni sulla propria famiglia di origine. Resta ferma la normativa precedente, che in definitiva riguarda la circolazione delle informazioni in questione verso l’esterno, in chiave, dunque, di una tutela del diritto alla riservatezza dell’adottato; quindi, la riforma riconosce la possibilità di accedere alle informazioni, innanzitutto ai genitori adottivi, quali esercenti la potestà dei genitori, su autorizzazione del tribunale per i minorenni, solo se sussistono gravi e comprovati motivi; analoga possibilità si ammette in capo al responsabile di una struttura ospedaliera o di un presidio sanitario, ove ricorrano i presupposti della necessità e della urgenza e vi sia grave pericolo per la salute del minore. Nel caso poi in cui entrambi i genitori adottivi siano deceduti, l’accesso ai dati è possibile indipendentemente da alcuna autorizzazione. Ma l’aspetto più significativo è certamente il riconoscimento del diritto di accesso - mediante autorizzazione del Tribunale dei minorenni - allo stesso adottato: in linea generale si richiede che questi abbia raggiunto l’età di venticinque anni; ove sussistano gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-fisica potrà farlo anche raggiunta la maggiore età. Ovviamente il rilascio dell’autorizzazione è subordinato al positivo esito dell’istruttoria nel corso della quale bisognerà accertare la positiva recettività psico-fisica del soggetto, ed escludere la possibilità di traumi. Tuttavia questa previsione non ha una portata indeterminata, poiché immediatamente dopo la legge ammette la possibilità di esclusione del diritto di accesso, relativamente alle ipotesi in cui l’adottato non sia stato riconosciuto alla nascita dalla madre naturale e qualora anche uno solo dei genitori biologici abbia dichiarato di non voler essere nominato, o abbia manifestato il consenso all’adozione a condizione di rimanere anonimo (art.28 mod. l.184, 7° co.). Questa previsione si spiega ancora una volta con il richiamo al diritto alla riservatezza che deve essere garantito a chi abbia subordinato a precise condizioni il compimento di un atto critico e difficile, come quello di dare un proprio figlio in adozione. Del resto la riservatezza dei genitori naturali, costituisce una delle più frequenti motivazioni cui si richiamavano i provvedimenti giudiziari anteriormente alla riforma, all’atto di respingere le richieste di autorizzazione. Nel complesso dei molteplici interessi da valutare e da contemperare, pertanto, in aggiunta a quello appena indicato alla riservatezza dei genitori naturali, vengono in considerazione altresì, da una parte, quello della famiglia adottiva a costituirsi in nucleo solido e compatto, protetto nella sua struttura attraverso il divieto di indicazioni sullo status; dall’altra, quello - parimenti meritevole di tutela giuridica - dell’adottato, a conoscere le proprie origini, quante volte la sola consapevolezza del mero fatto dell’adozione non sia sufficiente; la legge tiene conto di un bisogno di sapere che non è necessariamente (anzi possibilmente non è mai) indice di una volontà di rottura con la famiglia di adozione o di ricostruzione - spesso impossibile - di legami con la famiglia di origine, ma risponde semplicemente ad una esigenza dello sviluppo umano, di completezza della personalità. Eppure le associazioni delle famiglie affidatarie, (si veda per tutte l’ANFAA - Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie) non hanno accolto con entusiasmo la nuova legge; piuttosto l’hanno aspramente criticata, vedendovi una forma di svilimento del tentativo di ogni famiglia adottiva di dar vita, attraverso l’adozione, ad “una genitorialità ed una filiazione vere”. Le associazioni avvertono come una minaccia il riconoscimento del diritto di accesso riconosciuto all’adottato, ritenendo che “riconoscere un ruolo ai procreatori che hanno abbandonato la loro prole, significa soprattutto disconoscere per tutte le famiglie - in primo luogo quelle biologiche - l’importanza dei rapporti affettivi ed educativi sullo sviluppo della personalità dei figli”. In definitiva, secondo la posizione assunta dalle associazioni, si perviene ad una contraddizione tra il principio accolto nella l.184 e non negato dalla riforma, che vuole del tutto recisi i rapporti dell’adottato con la famiglia di origine in favore di un completo inserimento nel nucleo di adozione; ed il diverso principio che si ritiene affiorare dalla nuova legge, nel senso della indissolubilità dei vincoli di sangue, che sarebbe favorito dal riconoscimento del diritto di accesso e dalle conseguenti possibilità di ricongiungimento che questo potrebbe aprire. I timori manifestati nei contesti associativi di cui si è detto, tuttavia, al di là di quei profili più squisitamente educativi e familiari sui quali non è possibile né corretto esprimere giudizi oggettivi, non hanno ragion d’essere. Non può, infatti, trascurarsi quel dato umano offerto dall’esperienza, il quale, in definitiva, conferma che, presto o tardi, ogni figlio adottivo, reso consapevole di tale sua condizione, si mette alla ricerca delle proprie radici; conferma, altresì, che non sempre l’acquisizione delle informazioni richieste è il prologo di una disintegrazione del vincolo creato attraverso l’adozione; conferma, infine, che tale ricerca è sempre esistita anche nel vigore del testo originario della legge 184, che pure nessun diritto attribuiva in proposito. Anche alla luce di tutto questo l’approccio assunto dalla l.149 - ad avviso di chi scrive - non può valutarsi poi del tutto negativamente, tanto più che il diritto di accesso riconosciuto all’adottato non presenta, come si è precisato, alcun carattere di automaticità né di necessarietà, essendo pur sempre subordinato all’accertamento di precisi requisiti tanto di tipo formale - come il riconoscimento ad opera della madre naturale - quanto di tipo sostanziale, come il raggiungimento di venticinque anni o l’accertata idoneità psico-fisica dell’adottato infraventicinquenne, o, ancora, assenza di pericoli di traumi.

Autore : Giuliana Recupero Buono